giovedì 16 luglio 2009

venerdì 10 luglio 2009

Siamo spiacenti

Incidente. Incidente d'auto. E' una cosa che se non provi non puoi capire; sì, vedi macchine accartocciate, macchine giù dai fossi, macchine accartocciate in tv, macchine sopra i carroattrezzi, ma non puoi realmente immaginare cos'è un incidente d'auto. Ecco, io sono qui, con la mia Alfa ridotta a una Smart. Si è fusa assieme all'Audi che veniva dal senso opposto: scambio inter-culturale. Credo che la cosa dura che mi schiaccia il petto sia il volante ma faccio fatica a muovermi ed è buio, perciò tengo buona questa ipotesi e non controllo. Ho la faccia umida e calda... sangue, no? Dall'altra parte c'è il totale silenzio: l'altro autista o è messo come me - e si interroga se quello che gli sta spezzando le costole è il volante - o è svenuto o è morto.
Dunque: siamo in una stradina di campagna. Le possibilità che qualcuno ci trovi sono basse, molto basse. L'ora è quel che è, non ci sono case vicine che possano aver sentito il botto. Insomma, siamo fottuti. No. Ricordo che avevo il cellulare sul sedile del passeggero. Sarà caduto sul tappetino, no?
Allungo un braccio e mi fa un male cane ma non importa. Tasto un pò in giro e infine - fortuna sfacciata - lo trovo. Bene, chiamiamo qualcuno. Chiamiamo un'ambulanza, sì, è il mezzo più adeguato. Serviranno anche i vigili del fuoco per tagliare le lamiere che ci tengono inscatolati peggio delle sardine, ma a quello ci penseranno quelli dell'ambulanza che, certo, chiameranno anche i carabinieri. La colpa è dello stronzo qui con l'Audi, agente... come dice? E' deceduto? Beh, mi spiace, ma è uno stronzo lo stesso.
Chiamo e li informo che ho avuto un incontro ravvicinato con una mandria di centocinquanta, duecento cavalli.
Poi provo a chiamare un'altra persona. E' una persona molto importante per me. Ora chiamatemi sentimentale, idiota, quel che volete, ma sapete com'è: mi sento bene, non ho neanche tanto dolore, e forse questo è un male. Sulla faccia c'è sangue, e forse anche sui pantaloni. O forse me la sono fatta addosso e basta. Ma sempre meglio pensare al peggio, in questi casi. Ecco, metti il caso che sto morendo dissanguato; metti il caso che l'ambulanza non arrivi in tempo; metti il caso che arrivi ma crepo mentre mi portano all'ospedale; insomma, non si può mai sapere. Meglio fare questa telefonata. Se esiste un'aldilà non voglio passare tutta l'eternità col rimpianto per non averla salutata.
Cerco il numero sulla rubrica, clicco e parte la chiamata. Stop. No, mi dicono, non posso chiamare? Come? Ah sì, sono senza soldi. Il messaggino che arriva subito dopo me lo spiega molto bene.
Vabbé, esiste l'SOS Ricarica. Si chiama così per qualche motivo, no? Chiamo. La suadente voce preregistrata mi espone vari numerini da cliccare e io procedo sempre per l'SOS. No, non sono interessato a questa promozione. No, un'altra volta, grazie. Arrivo al clic fatidico e mi si dice: attenda in linea. Ok, non ho fretta. Credo.
Siamo spiacenti, ma per accedere al servizio SOS Ricarica è necessario avere almeno 50 punti Vodafone One.*
La voce meccanica e gentile riattacca.
Cazzo, penso. Li ho spesi la settimana scorsa.



* fatto vero.

giovedì 9 luglio 2009

40 euro per niente

VM18
Storia politico/economica ambientata
in una possibile Italia post-futuristica?
Forse si, Forse...
ni.



Un uomo di mezz'età, una sera, decide di sperperare un po di denaro sulla statale 11.
Percorre tutta la statale poi, dopo aver osservato attentamente tutte le prostitute appostate, accosta accanto a quella che gli piaceva di più
Lui: «Buonasera»
Lei: «Ciao» fa la donna leccandosi le labbra
«ehm... quanto vuole?» chiede lui un po imbarazzato (è la prima volta per lui)
«per tutta la notte o per una pompa? » (la millesima per lei)
«p-p-per un pompino»
«Auto o appartamento?»
«Auto?»
«40 sacchi»
Al che lui gli fa cenno di salire.
Lei sale e gli indica la strada per un luogo appartato, lontano da occhi indiscreti, per poter fare il suo "lavoro".
(durante il viaggio Lui è un po impacciato perchè Lei lo tocca e si truscia su di lui eccitandolo)
Arrivati a destinazione spegne l'auto
«Devi prima pagarmi»
«Oh, giusto»
imbarazzato prende il portafogli e le porge 2 banconote da venti euro
«no, no, forse non ha capito, fanno 40 sacchi per una pompa»
«eh...! 40 euro» e porge le banconote
«no, 40 sacchi... 40 sacchi di farina... non li ha...?»
Lui la guarda alibito, con i soldi inmano, senza saper più che dire
«...guardi. Se non li ha e mi ha fatto venire fin qui per un servizio a gratis se lo può scordare.» lei era un po stizzita
«Ma... Ma... Ma» e porge i 40 euro
«OK, senta, se no ha 40 sacchi di farina vanno bene anche 10 casse di mele oppure 35 litri di latte...»
«Ma... Ma... i 40 euro non vanno bene? Guardi che non sono falsi»
«non mi interessa che siano falsi o no. Non mi dica che non ha nemmeno 33 sacchi di frumento»
«N-no, non ce li ho... Ho solo 40 euro, perchè non li accetta?» insisteva
«e cosa vuole che me ne faccia degli euro? Non mi ci compro neppure da mangiare»

venerdì 5 giugno 2009

La stampa della (dis)informazione

piccola premessa: tutto quanto segue è un piccolo sfogo quotidiano a cui potete tranquillamente rimanere indifferenti.
Buona lettura

Sono sepolto sotto un mucchio di fatti che mi lasciano indifferente.
Oggi è scoppiato il reparto di una fabbrica chimica a pochi chilometri da dove abito. Ancora non trovo notizie esaurienti in rete (un microscopico articoletto che ne accenna il fatto), sarà perchè sono passate solo poche ore, sarà perchè non è morto nessuno... (2 feriti in modo non grave, evacuata la zona circostante alla fabbrica, circa 200 m. Sarà che non è un virus letale, sarà che non c'erano di mezzo i colossi mondiali della chimica-farmaceutica pronti con un "miracoloso" vaccino appena scoperto. Come è successo qualche tempo fa, quando saltò fuori dal messico l'influenza aviaria. Un uccellino mi ha detto: lo sai il giorno prima che i (tele)giornali dessero notizia dell'epidemia due multinazionali della farmaceutica hanno firmato un accordo di svariati milioni di euro per assicurarsi l'esclusiva sulla produzione di un fantomatico vaccino?
Al chè mi sono chiesto quanto si divertissero e ne godessero i magnati a tenere in pugno le redini del mondo.
Il giorno dopo già mi sono dimenticato di tutto questo.
Le notizie sono inutili al giogno d'oggi.
Siamo tutti talmente abituati alle disgrazie del mondo che quando scoppia la casa di fianco alla nostraci preoccupiamo che i detriti non abbiano graffiatto la carrozzedria della nostra auto parcheggiata li fuori.

Non Guardo più la tv, non seguo la radio e il giornale lo compero solamente per vedere le date dei concerti. Spulcio qualche notizia su giornali vecchi di qualche giorno, abbandonati sul tavolo dello spogliatoio del reparto dove lavoro da qualche buon anima che non li vuole buttare, mi sento un barbone che raccoglie vecchie pagine ai giardini pubblici.

L'italia trema, morti e feriti, sfollati e disperazione.
Ora non trema più, non si sa più nulla...
sono io il disinformato della stampa o è la stampa della disinformazione?
mi perdo in un delirio di niente.
Tanto, a che serve sapere? a che serve aggiornarsi, studiare, informarsi...
che io sappia oppure no devo comunque andare a fare un lavoro di ripiego (e per fortuna che io lavoro), affrontare gli stessi problemi di sempre, sognare ad occhi aperti per sempre.
Poi apri gli occhi per cinque minuti per scoprire che un diploma (sudato dopo 5 anni di scuola a 40Km da casa, ore di autobus, camminate chilometriche) non vale più di una foglia secca in decomposizione.
Scoprire che una laurea di oggi a stento equivale ad un diploma di tre o quattro anni fa...
ma allora a che serve studiare? Potevo iniziare lo steso lavoro molto tempo prima, anche senza un diploma.


Ultimissimo sfogo


La crisi
C'è la crisi mondiale (per fortuna che l'ho scansata in tempo)
Vai in gelateria il mercoledì e non trovi posto a sedere perchè è tutto pieno.
C'è crisi.
Vai in pizzeria, devi attendere che si liberi un tavolo prima di poter sederti.
C'è crisi.
Le aziende chiudono, molte persone in fila per la disoccupazione.
C'è crisi.
Vai in concessionaria, devi tornare il giorno dopo perchè sono indaffaratissimi.
C'è crisi.

Mi sa che se c'è qualcuno che è in crisi quello sono io.
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Sono un sordo-cieco.
Sono l'urlatore senza-senso
prostratevi.

Sono un mostro di indifferenza.
Sono la regina dell'egoismo
prostratevi.

Sono un drogato d'illusione.
Sono la puttana del sogno
prostratevi.

venerdì 15 maggio 2009

Tempi duri per la Terra dei Cachi

Erano tempi duri per la Terra dei Cachi. Il Paese era nel bel mezzo di una guerra civile, diviso, frammentato, spezzettato in tanti piccoli staterelli. La gente aveva paura, tanta paura. In alcuni posti si combatteva con le armi, in altri solo con le parole. Alcuni sostenevano che feriva più il fucile, altri che feriva più la tv. Il popolo della Terra dei Cachi, represso e costretto a sopravvivere nelle maniere più degradanti, contava di fuggire. Non c'era più lavoro, per i più fortunati; non c'era più la possibilità di scendere in strada senza il rischio di beccarsi una pallottola, per i più sfortunati. I capi, i cosiddetti Caconi, erano rintanati nei loro rifugi di fortuna. Alcuni, si vociferava, erano riusciti a fuggire evitando i linciaggi. Altri ancora avevano invece acquisito più potere. La guerra, tuttavia, si spandeva senza freni in tutto il territorio, ed erano in molti a desiderare di evitarla. Ma come potevano farlo? Le alternative finora erano state di combattere a fianco del Cacone Maximo, oppure contro di lui. Chi voleva fuggire poteva farlo per terra o per mare. Ma dove andare?
La Terra dei Cachi era un posto pieno di tanta gente diversa, e purtroppo alcuni di questi si erano macchiati in passato di crimini e scelleratezze innominabili. Alcuni perché orgogliosi delle loro idee, altri orgogliosi dei loro soldi. Fatto sta che, sebbene non tutti fossero come costoro (anzi, molti erano brava gente), il mondo vedeva gli abitanti della Terra dei Cachi come creature terribili, pericolose, evitabili nel migliore dei casi, annientabili nei peggiori. Il resto del mondo stava infatti decidendo cosa fosse meglio fare della Terra dei Cachi: conquistarsela e dividersela? Liberarla, indebitandola di tale favore? Era un grosso dilemma, anche perché i Caconi erano molto ricchi e potevano comunque far comodo. Ma intanto che decidevano non potevano restarsene con le mani in mano. La situazione andava tenuta sotto controllo: gli abitanti della Terra dei Cachi andavano tenuti lì dov'erano - in quanto pericolosi, sporchi e malvagi - e non potevano permettersi di lasciarli emigrare.
E fu così che le frontiere vennero chiuse, e i barconi carichi di abitanti della Terra dei Cachi dovettero fare dietro-front dinanzi alle leggi di tutti i Paesi del mondo, che andavano sotto il nome di Decreti Sicurezza. Sicurezza dagli abitanti della Terra dei Cachi, troppo cattivi e diversi, e quindi rischiosi, per venir ammessi in altre terre.
Insomma, dicevo: tempi duri per la Terra dei Cachi.

martedì 12 maggio 2009

Papipappone

Silvano (ovvero Silvio-nano, ma per non far capire che parliamo di lui lo chiameremo così) era un papipappone. I papipappone sono una specie idrofoba di tacchini col grugno che amano tubare attorno alle gallinelle e portano loro in dono, derubando le gazze ladre, gioielli d'ogni tipo. In realtà, un papipappone è il risultato di un'evoluzione sfortunata: nasce vecchio, ed è pieno di malattie.
Parla a vanvera, e ogni suo discorso ha finalità riproduttive. Non sa muoversi da solo, a causa di gambe troppo corte e di un pelo folto e unto sul capo, e quindi dev'essere manovrato.
Infatti, si crede che i papipappone siano circondati da una serie di parassiti che in simbiosi lo difendono, lo puliscono, lo muovono, lo fanno giocare... e lo fanno anche ragionare: spesso infatti molti suoi sproloqui vengono smentiti nei giorni successivi. Egli vive secondo un basilare e primordiale istinto di sopravvivenza, e sta ai simbionti che vivono con lui rimediare ai suoi comportamenti privi di intelletto.
Un papipappone è molto più di un pavone: ostenta la sua "bellezza" con feroce prepotenza, intimorendo i suoi avversari: che sia per il dominio del suo territorio (che egli marca regolarmente di giorno in giorno grazie ai feromoni Fedina, Vespone, Giordanino, Belpietrisco, Ricotta, Mimone, Faccilpiacere e Filtri), o per la priorità sulla preda catturata (che spartisce con la marmotta azzannatrice utris dellutris) e i cui avanzi lascia poi ai suoi cuccioli (naturali o adottivi) da lui sapientemente battezzati: Dalemo, Fascino, Ruttello, Bussi, Calderrosto, Borgotrapezio, Gheduino, Gaspare, Boccolino, Mastellinopanevino, Bonoadareaiuti, Chicchiricchitto, Velcroni e Franziskinir. Questi e molti altri, poiché dati i successi riproduttivi del famigerato papipappone, è evidente che dal suo harem spuntano e spunteranno fuori molti papini.
Quest'analisi è breve e poco dettagliata, a causa dei pochi dati in possesso su questa creatura, riluttante a osservazioni ed esperimenti: Silvano, infatti, come alcuni della sua specie, predilige vivere fuori da occhi indiscreti, snobbando i suoi predatori, e tutte le sue prede (catturate o rubate da altri animali) preferisce sotterrarle cosicché nessuno le scovi ed egli possa consumarle poco a poco senza che nessuno se ne accorga o gliele freghi.
Questo, c'è da dirlo, spesso lascia a bocca asciutta molti dei suoi cuccioli (quelli adottivi, per lo più) che guaiscono e si arrabbiano. Ma lui che ha grandi orecchie da mercante si gira dall'altra parte - il movimento gli fa partire un peto che spettina i cuccioli e li lascia inebetiti - e continua a masticare allegramente.

martedì 31 marzo 2009

Spengo la tv (ia-ia-oh)

Accendo la tv, rabbrividisco e la spengo.

Alcune ora dopo la riaccendo, dimentico dell'errore o forse speranzoso. Inutile, rabbrividisco di nuovo. Cambio canale, allora; per così dire, ritento. Ma che ci volete fare, facce come quella di Enrico Papi non hanno senso.

La vecchia fattoria ia-ia-oh è passata di moda, ora le fattorie hanno solo animali a due gambe. Poveri animali – quelli veri, intendo – che si vedono espropriare il loro ruolo da animali che gli animali non li sanno fare. Lo zio Tobia ora si chiama zio Maria, in arte De Filippi. No, aspetta, si chiama zia Simona, in arte sVentura. No, sbaglio ancora, si chiama zia Paola Peg Perego. Beh, in fondo si assomigliano, scusatemi la confusione.

Spengo la tv, dicevo. La spengo e rimango a pensare col telecomando in mano. Forse ho un po' la stessa faccia di Isaac Newton quando aveva la mela in mano: era meditabondo, prima di avere quella strana idea della gravità. Io invece rimango meditabondo, e non ho idee, penso solo alla gravità della situazione. C'è silenzio, infine. Guarderei un film, ma ho osato troppo. L'ho accesa, anche se per pochi secondi di rischioso zapping, e ormai il virus mi ha colpito. Sento il mio cervello che si mette da parte, dice “lascia stare, amico, io vado a farmi un paio di bicchieri”. Ed eccolo là, steso sul bancone con un po' più di due bicchieri. D'altronde, che potevo pretendere, c'è un limite a tutto e anche i più forti si lasciano abbattere. Lo capisco, il mio cervello c'ha provato, ancora una volta, a trovare un senso in quella scatola piena di Mulini Bianchi e tette assortite. Gli Uomini della Farina fanno panini alla cocaina, il robot Emiglio sparge petali di rosa sotto i tacchi del Grande Puffo e intanto centinaia migliaia di rumeni si ritrovano affetti da un'epidemia, la stuprosi fulminante (e intanto tutti sbavano legittimamente sui seni generosi delle colleghe del puffo Chiambretto). Si sa, i puffi son così.

Così rifletto, telecomando alla mano, e intanto la tv mi guarda, provando un brivido all'altezza della presa scart perché sa bene che domani la riaccenderò, ingenuamente sperando.